giovedì 25 febbraio 2021

 

BABA O’ RILEY

Pomeriggio, interno portineria, turno post pranzo per far riposare papà, radio accesa. Volume non troppo alto, per non disturbare. Non papà, abbastanza lontano nella camera da letto e con le porte tutte chiuse, ma chi eventualmente passasse nell’ingresso del palazzo per raggiungere le due scale del condominio. Ascolto “Per voi giovani” mentre leggo Tex e all’improvviso vengo sopraffatto dalla musica.  E’ strana, ripetitiva, ipnotica, uno strumento che non conosco, forse più strumenti, capisco che sta per introdurre qualcosa che non avevo mai sentito prima. E che si materializza con ingresso prima della batteria e poi di un basso che anticipa la partenza di una voce squillante e l’innesto della chitarra. «Don't cry, Don't raise your eyes. It's only teenage wasteland» («Non piangere, non alzare gli occhi. È solo desolazione giovanile»), canta una voce che non conosco, ma amo subito.

E’ rock, certo, ci arrivo anche io nella mia ingenuità musicale, ma è strutturato in maniera diversa dalla solita routine fatta di basso, batteria e chitarra. Sì, eccolo l’assolo di chitarra, ma poi arriva uno straordinario violino dal sapore popolare. Il brano continua con un progressivo aumento di velocità, fino a chiudersi d'improvviso.  Ma io resto attento, perché aspetto che i conduttori del programma (Giaccio e Cascone? Credo di sì) mi facciano sapere di che canzone (beh, io la definivo ancora così) si tratta e chi la canta. Che titolo strano, la canzone: Baba O’ Riley. A eseguirla è un gruppo, The Who. No, allora non li conoscevo, anche se suonavano da anni e avevano già scritto Tommy, la prima rock opera. Avevano iniziato con il beat, cantando My Generation, un inno generazionale, appunto. Erano stati a Woodstock, ma io non sapevo nulla di Woodstock. Che ignoranza, pensai subito. E mi appuntai le informazioni sulla canzone che i conduttori di Per voi giovani mi avevano dato (personalizzo perché era proprio così, la trasmissione era per me…).  Dovevo sapere qualcosa di più su quei Who, informarmi su quel tipo di musica che tanto mi aveva colpito.

Ma non ero il solo in quel periodo a cercare nuove emozioni musicali. Ne parlai con il mio amico Lucio che riuscì a stupirmi, perché li conosceva. Già, lui che era un po’ più grande di me si era emancipato prima musicalmente. E lo aveva fatto non solo ascoltando, ma leggendo. “Cosa?”, gli chiesi. “Ma Ciao 2001, no?”.  Il settimanale della musica dei giovani. Per entrare nel nuovo mondo che mi era stato aperto da Baba O’ Riley, oltre a continuare ad ascoltare Per voi giovani (non mi sembrava che ci fossero altre possibilità tra radio e televisione, o perlomeno non me ne ero accorto) non dovevo fare altro che leggere le tantissime recensioni dei dischi appena usciti scritte da giornalisti specializzati e poi gli articoli sui gruppi del momento. Dovevo farmi una cultura, dovevo capire che tipo di musica mi interessasse realmente. L’evoluzione musicale partiva dalla lettura.

Non solo, cominciai a confrontarmi anche con alcuni compagni di scuola, chiedendo dei loro gusti musicali. Mi accorsi che non ne avevo mai parlato con nessuno, ci limitavamo soltanto ad ascoltare Hit Parade prima dell’ingresso a scuola (funzionavano i doppi turni allora e tre giorni alla settimana entravamo di pomeriggio) facendo il tifo per Lucio Battisti ed esaltandoci per “Pensieri e Parole” che si manteneva sempre al primo posto in classifica. Poi si discuteva solo di calcio e si organizzavano partite di pallone sui campetti di via Iannelli o di via San Domenico. Ma doveva davvero esserci qualcosa nell’aria che ci portava verso le nuove conoscenze musicali. Mi sembrava che d’improvviso fossimo tutti interessati alle novità che a poco a poco ognuno di noi proponeva, E cominciarono a venir fuori i dischi.

martedì 2 febbraio 2021

 

C’è sempre una discreta dose di autocompiacimento

quando si accende l’autoradio, si ascoltano le prime note

e si riconosce il brano: bravo, ti dici, il tuo cervello

ha immagazzinato bene la musica

e basta un minimo approccio per dare la risposta esatta

nella tua testa c’è un magnifico mondo costruito

in cinquant’anni di ascolti

Ti sembra sempre di partecipare a un quiz

Crei un gioco e lo fai diventare tuo

 credi sempre di poter vincere

e quando non ci riesci e dovresti arrenderti

bleffi con te stesso fino a quando il conduttore

non ti dice il titolo del brano

Ma sì, alla fine era proprio quello che pensavi tu

Stasera nessun problema, nemmeno un secondo

e il gioco era già finito: troppo facile riconoscere

la suite di Atom Heart Mother, il coro psichedelico

perciò meglio farsi sorprendere dalle lacrime

che ti avvolgono quando il cervello collega

la musica al passato, alle ore trascorse ad ascoltare

quelle cassette registrate velocemente

da un Allocchio Bacchini che adesso sarebbe

un nobile pezzo di modernariato e che allora

era un giradischi strappato alla pattumiera

 in attesa dell’acquisto del primo vero stereo

Dischi ottenuti in prestito da registrare in fretta

per poterli restituire subito all’amico coraggioso

che si era lasciato convincere dopo una corte serrata

al capolavoro che andava divulgato

Registrazioni senza alcun filo di connessione

In presa diretta con una porta chiusa che ogni tanto

si apriva e lasciava passare rumori orribili

che però non riuscivano mai a coprire i meravigliosi

suoni che allargavano la conoscenza della tua mente

senza ricorrere a mezzi artificiali e terribili

Atom Heart Mother, Fragile, In the Court, Aqualung, H to E

Musica che arrivava da altri pianeti, che superava ogni

mia concezione di canzone formatasi negli anni

dell’infanzia tra Canzonissima, Sanremo e Disco

per l’Estate e sviluppatasi con l’ascolto

su un mangiadischi giallo e sui juke box da spiaggia

Addio Gianni Morandi, Rita Pavone, Little Tony,

Caterina Caselli, Adriano Celentano, Massimo Ranieri,

Equipe 84, Dik Dik, Nomadi. Addio Lucio Battisti, che

già mi avevi aperto altre strade. Addio anche Beatles

e Rolling Stones, scoperti attraverso i cugini

più grandi. Ora, tra i 13 e i 14 anni, si andava

alla scoperta di nuovi orizzonti musicali.

 E’ bastato l’ascolto di un pezzo, di un solo pezzo

alla radio per capire che c’era qualcosa di diverso

nell’aria, che dovevi crescere anche musicalmente,

che dovevi incamminarti su nuovi sentieri

che ti avrebbero portato lontano. Molto lontano.