lunedì 30 luglio 2012

Storia di un minuto lungo 40 anni

Mi ritrovo spesso ad ascoltare in macchina il live della Pfm in Giappone di pochi anni fa. Perché lo trovo straordinario, meraviglioso esempio di come un gruppo italiano possa dopo quarant'anni essere ancora così attuale. Con quella forza riconosciuta di solito soltanto ai mostri sacri del rock internazionale. Ma in fondo, diciamocelo pure tranquillamente, la Pfm fa parte di questa categoria. Quel live giapponese ne è la conferma: sono in gran forma, tanto da esibire anche una cover di "Bandiera bianca" di Franco Battiato che io trovo magistrale.  "Bandiera bianca" era la risposta della Pfm all'"Impressioni di settembre " del maestro Battiato e io non alcun dubbio: a guadagnarci nello scambio è stato il pezzo rifatto dalla Pfm. Ascoltare per credere. Ma mi rendo conto di aver girato troppo intorno ai nostri splendidi due album quarantenni della Pfm. Due in un colpo solo nel 1972, come il Banco del Mutuo Soccorso con il Salvadanaio e Darwin. Un anno di grande ispirazione per i due più importanti gruppi del Progressive italiano. Ci si divise allora su Pfm e Banco? Non troppo, in verità. Perché i due gruppi erano complementari: Pfm più filobritannica (non a caso con cover di King Crimson e Yes nel primo repertorio), Banco più legato alla grande tradizione melodica (ed epica...) italiana. Quarant'anni dopo non c'è nessuna remora a definire "Storia di un minuto" un capolavoro. Fin dall'introduzione tipicamente progressive che anticipa "Impressioni di settembre", la prima canzone italiana che sostituì il ritornello con un assolo di moog di Flavio Premoli. "E' festa", che sarebbe diventata "Celebration" nelle trionfali tournée all'estero, riesce ancora ad essere trascinante come una tarantella mediterranea. E poi l'improvvisazione di "Dove... quando" che rimanda, sia pure con meno pathos,  ai King Crimson e mette in evidenza lo straordinario talento del chitarrista Francone Mussida, del batterista Franz Di Cioccio, del tastierista Flavio Premoli, del bassista Giorgio "Fico" Piazza e di Mauro Pagani, flautista e violinista, l'anima del gruppo. Infine la "La Carrozza di Hans". "Guarda, cerca, corri, lontano. Vola...". Hans il mercante diventa subito un personaggio delle nostre favole musicali di tredicenni-quattordicenni. "Suona un corno da cocchiere, lustra l'abito da re. E' la carrozza di Hans". Eccolo, uno dei pezzi più amati dai fan (con Mussida in primo piano con la sua acustica alla Steve Hackett e alla Steve Howe, ai quali non ha nulla da invidiare). A chiudere "Grazie davvero". Un album senza sbavature, da ascoltare tutto di un fiato.

martedì 3 luglio 2012

Foxtrot


Foxtrot   pubblicato il 6 ottobre 1972 (Charisma)

Genesis




Lato A
  1. Watcher of the Skies - 7:19
  2. Time Table - 4:40
  3. Get 'Em Out by Friday - 8:35
  4. Can-utility and the Coastliners - 5:43
Lato B
  1. Horizons - 1:38 (*)
  2. Supper's Ready - 22:58
    • (I) Lover's Leap
    • (II) The Guaranteed Eternal Sanctuary Man
    • (III) Ikhnaton and Itsacon and Their Band of Merry Men
    • (IV) How Dare I Be So Beautiful?
    • (V) Willow Farm
    • (VI) Apocalypse in 9/8 (co-starring the delicious talents of Gabble Ratchet)
    • (VII) As Sure as Eggs Is Eggs (Aching Men's Feet)

I guardiani dei cieli di Napoli

Lo confesso, quando qualche anno fa scoprii che i Genesis avevano pensato ed elaborato "Watcher of the skies", il pezzo che apre "Foxtrot", in un albergo sul Lungomare di Napoli, ne fui fiero ed orgoglioso. Perché quelli erano i "miei" Genesis. Quelli che erano venuti una prima volta a Napoli, al teatro Mediterraneo, quando io non avevo ancora avuto il permesso di seguirli. Così, mentre io ancora tredicenne non riuscivo a convincere i miei a lasciarmi andare (da solo, perché anche agli altri amici era stato detto "no"), loro osservando il cielo sopra Castel dell'Ovo costruivano la canzone che avrebbe aperto i tour del 1973 e del 1974. La canzone, scritta da Tony Banks e Mike Rutheford,  con la quale, un po' nervosi per il fumo dei lacrimogeni che proveniva dall'esterno del PalaArgento dove era in atto l'allora solita contestazione di chi chiedeva i biglietti a un prezzo "politico", aprirono il concerto  del 6 febbraio 1974.  Un ricordo indelebile per chi quella sera era lì, in un palazzetto dello sport che da anni è vergognosamente ridotto in un cumulo di macerie. Dalla prima nota del mellotron di "Watcher..." al Peter Gabriel quasi nudo che chiudeva la performance con "The knife". Lo registrai tutto quel concerto, dagli spalti del palasport, sul musicassette: si può ben immaginare la purezza del suono... Ma io ne andai orgoglioso per anni prima di perdere come uno stupido (prestata e mai restituita....) la magica cassetta da 120 minuti. Esistono naturalmente dei bootleg di quel concerto e qualcuno su YouTube ha messo la registrazione di "Dancing with the Moonlit Knight" preceduta dalla chiacchierata di Peter Gabriel con il pubblico napoletano. "Ricchiò", gli gridò un povero idiota subito zittito. Lui rispose "Grazie mille" e si sforzò di parlare in italiano per spiegare il pezzo che avremmo sentito, per poi  fare anche la battuta: "Tirate le bottiglie al batterista". Ovvero a Phil Collins. Insomma, il solito Peter Gabriel a cui tanto piaceva (e piace) parlare con il pubblico. Una notte magica, quella sì per davvero.  Ma torniamo ai "Guardiani dei cieli", a "Foxtrot", che compie 40 anni con la sua meravigliosa copertina disegnata da Paul Withehead con grafica di Hipgnosis: la donna-volpe in rosso in mezzo al mare con i cacciatori sulla riva. Travestimento ripreso da Peter Gabriel dal vivo insieme ai tanti proposti durante l'esecuzione di "Supper's ready", il capolavoro del disco, la lunghissima suite che dopo la strumentale "Horizons", elegante esercizio di stile in assolo acustico del chitarrista Steve Hackett, riempie la seconda facciata. Monumentale, biblica non solo nelle sue continue citazioni ai testi sacri e all'Apocalisse: il trionfo della Progressive. Con  un Tony Banks signore delle tastiere e del mellotron, cesellatore di tappeti musicali supportati dalla ritmica di Collins e Rutherford, su cui si inseriscono i magici accordi e gli assoli di Hackett e la dolcezza del suono del flauto di Gabriel, ispiratissimo nell'esecuzione vocale: ventitré minuti tutti d'un fiato, senza una sola caduta e un'esposizione teatrale dei testi. Come si sarebbe poi potuto apprezzare dal vivo. Si poteva mai chiamare "canzone" un'operazione del genere? No, erano le nostre nuove sinfonie, le nostre nuove opere(tte). Era la Progressive, era l'Art rock, era una nuova era musicale fatta di contaminazione di generi. E con tutte le sue evoluzioni temporali non ci avrebbe mai abbandonato.