BABA O’ RILEY
Pomeriggio, interno portineria, turno post pranzo per
far riposare papà, radio accesa. Volume non troppo alto, per non disturbare.
Non papà, abbastanza lontano nella camera da letto e con le porte tutte chiuse,
ma chi eventualmente passasse nell’ingresso del palazzo per raggiungere le due
scale del condominio. Ascolto “Per voi giovani” mentre leggo Tex e
all’improvviso vengo sopraffatto dalla musica.
E’ strana, ripetitiva, ipnotica, uno strumento che non conosco, forse
più strumenti, capisco che sta per introdurre qualcosa che non avevo mai
sentito prima. E che si materializza con ingresso prima della batteria e poi di
un basso che anticipa la partenza di una voce squillante e l’innesto della
chitarra. «Don't cry, Don't
raise your eyes. It's only teenage wasteland» («Non
piangere, non alzare gli occhi. È solo desolazione giovanile»), canta una voce
che non conosco, ma amo subito.
E’ rock, certo, ci arrivo anche io nella mia ingenuità musicale, ma è strutturato in maniera diversa dalla solita routine fatta di basso, batteria e chitarra. Sì, eccolo l’assolo di chitarra, ma poi arriva uno straordinario violino dal sapore popolare. Il brano continua con un progressivo aumento di velocità, fino a chiudersi d'improvviso. Ma io resto attento, perché aspetto che i conduttori del programma (Giaccio e Cascone? Credo di sì) mi facciano sapere di che canzone (beh, io la definivo ancora così) si tratta e chi la canta. Che titolo strano, la canzone: Baba O’ Riley. A eseguirla è un gruppo, The Who. No, allora non li conoscevo, anche se suonavano da anni e avevano già scritto Tommy, la prima rock opera. Avevano iniziato con il beat, cantando My Generation, un inno generazionale, appunto. Erano stati a Woodstock, ma io non sapevo nulla di Woodstock. Che ignoranza, pensai subito. E mi appuntai le informazioni sulla canzone che i conduttori di Per voi giovani mi avevano dato (personalizzo perché era proprio così, la trasmissione era per me…). Dovevo sapere qualcosa di più su quei Who, informarmi su quel tipo di musica che tanto mi aveva colpito.
Ma non ero il solo in quel periodo a
cercare nuove emozioni musicali. Ne parlai con il mio amico Lucio che riuscì a
stupirmi, perché li conosceva. Già, lui che era un po’ più grande di me si era
emancipato prima musicalmente. E lo aveva fatto non solo ascoltando, ma
leggendo. “Cosa?”, gli chiesi. “Ma Ciao 2001, no?”. Il settimanale della musica dei giovani. Per
entrare nel nuovo mondo che mi era stato aperto da Baba O’ Riley, oltre a
continuare ad ascoltare Per voi giovani (non mi sembrava che ci fossero altre
possibilità tra radio e televisione, o perlomeno non me ne ero accorto) non
dovevo fare altro che leggere le tantissime recensioni dei dischi appena usciti
scritte da giornalisti specializzati e poi gli articoli sui gruppi del momento.
Dovevo farmi una cultura, dovevo capire che tipo di musica mi interessasse
realmente. L’evoluzione musicale partiva dalla lettura.
Non solo, cominciai a confrontarmi anche
con alcuni compagni di scuola, chiedendo dei loro gusti musicali. Mi accorsi
che non ne avevo mai parlato con nessuno, ci limitavamo soltanto ad ascoltare
Hit Parade prima dell’ingresso a scuola (funzionavano i doppi turni allora e
tre giorni alla settimana entravamo di pomeriggio) facendo il tifo per Lucio
Battisti ed esaltandoci per “Pensieri e Parole” che si manteneva sempre al
primo posto in classifica. Poi si discuteva solo di calcio e si organizzavano
partite di pallone sui campetti di via Iannelli o di via San Domenico. Ma
doveva davvero esserci qualcosa nell’aria che ci portava verso le nuove
conoscenze musicali. Mi sembrava che d’improvviso fossimo tutti interessati
alle novità che a poco a poco ognuno di noi proponeva, E cominciarono a venir
fuori i dischi.